Muscoli e cervello
In occasione dell’inaugurazione della Kawasaki Dirt Arena abbiamo provato per voi l’epico ATV della Casa Verde, stiamo parlando del Brute Force, nella sua cilindrata più elevata, 750cc
Brute Force 750 fu per molto tempo il simbolo della categoria utility “top class”, il primo a montare un banco motore a due cilindri con configurazione a V 90°, e a lungo rappresentò il riferimento per i mezzi da lavoro di grossa cilindrata. Nel tempo non ha subito mai grandi cambiamenti tecnici: l’unica modifica degna di nota fu il passaggio da un’alimentazione a carburatore all’iniezione elettronica con poi l’inserimento nel 2011 del servosterzo, ma aspetto e dettagli rimasero sempre invariati.
L’ultimo nostro test sul Kawasaki Brute Force 750 risale proprio a quell’anno, il 2011 e dobbiamo ammettere che il veicolo è rimasto invariato da allora aggiornando solo colorazioni, grafiche e dettagli legati all’omologazione agricola, con la quale viene commercializzato oggi.
Design: forme morbide
Spesso il cambiamento che viene sempre più apprezzato è quello estetico ma in questo caso è importante non soffermarsi all’aspetto esteriore e andare ad analizzare quello che c’è sotto. Resta il fatto che pur se l’abito non fa il monaco spesso limitiamo la nostra valutazione alla pelle esterna: quindi come valutiamo il Brute Force? Sicuramente il costruttore nipponico non ha voluto tagliare i ponti con le precedenti versioni mantenendo sempre una fisionomia morbida con linee particolarmente rotonde, trasposte in toto nei due proiettori circolari montati frontalmente.
Al contrario di altri che preferiscono caratterizzare il “muso” soprattutto tramite i gruppi ottici di moderna concezione, Kawasaki ha deciso il contrario: è la carrozzeria la protagonista, tanto che la copertura è pressoché totale: pochissimo trapela del telaio…
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Video Kawasaki Brute Force realizzato da Redneck Motors in occasione del Raduno del Marmo